Il quesito, presentato da un Comune laziale, riguardava la gestione dei rifiuti di cui allegato D del D.Lgs. 152/2006 ed identificati con il codice EER 180104; in particolare la richiesta era relativa all'assimilazione della suddetta tipologia di rifiuti speciali - provenienti dalle attività delle case di cura e risposo, e non dalle utenze domestiche - ai rifiuti urbani, e, di conseguenza, la possibilità di rientrare nel circuito di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani gestito dai Comuni in regime di privativa.
Il Ministero, dopo la consueta esposizione del quadro normativo di riferimento, ha evidenziato come i rifiuti in oggetto possono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta come rifiuti indifferenziati (codice EER 20.03.01), in quanto rifiuti non pericolosi classificati come "assimilati agli urbani" dal D.P.R. 254 cit. (regolamento sui rifiuti sanitari).
La nuova definizione di rifiuto urbano introdotta dal D.Lgs. 116/2020 che, in linea con la normativa europea, comporta il superamento del concetto di rifiuto assimilato agli urbani, ed esclude, quindi, i rifiuti sanitari dalla categoria di quelli urbani - si precisa, poi, nella risposta all'interpello - non incide sulla ripartizione delle competenze e responsabilità nella gestione di detti rifiuti tra pubblici e privati, ma rileva ai soli fini degli obiettivi unionali di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio.
Permane, quindi, la disciplina del D.P.R. 254/2003, la quale stabilisce che detti rifiuti prodotti dalle strutture sanitarie siano "assimilati agli urbani", e quindi gestiti come tali.